TUTTO CAMBIA PERCHE' NULLA CAMBI

Osservando l’arcaico conflitto umano del conciliare lo stare insieme agli altri, condividere e connettersi con tutti e il desiderio egoistico di trattenere e desiderare solo di ricevere tutto per sé, mi fa pensare alla rapidità con cui avvengono oggi i cambiamenti di opinione su un evento, su una visione della vita rispetto ad una altra e quanto tutto questo sia oggetto dell’attenzione di chi muove le fila di piccoli o grandi gruppi di opinione, gruppi politici o di tipo religioso o pseudo religioso, esoterici o legati ad antiche saggezze. 

Cosa muove tutto questo e soprattutto perché è così facile per i loro leader e guru attrarre molti a incrementare le folle che li seguono? A proposito di questo mi sono ricordato di in bellissimo libro letto alcuni anni fa “Psicologia delle folle” di Gustav Le Bon, un sociologo scrittore vissuto tra la fine del’800 e l’inizio del novecento. Vi invito a leggere una sintesi estratta da questo testo che sintetizza magistralmente questi fenomeni, per aiutarci a comprenderne le ragioni che li animano evitando di seguire falsi miti.

da “PSICOLOGIA DELLE FOLLE” di Gustav Le Bon – Edizioni Clandestine

Se prendiamo di mira, nelle loro grandi linee, la genesi della grandezza e della decadenza delle civiltà che hanno preceduto la nostra, che cosa scorgiamo? All'aurora delle civiltà, un insieme di uomini, di origine diverse, riuniti dal caso delle migrazioni, delle invasioni e delle conquiste. Di sangue, di lingua e di credenze diverse, questi uomini non hanno che un legame comune: la legge, riconosciuta a mezzo di un capo.

Nelle loro agglomerazioni confuse si ritrovano, al massimo grado, i caratteri psicologici delle folle. Esse ne hanno la coesione momentanea, gli eroismi, le debolezze, gli impulsi e le violenze. Nulla di stabile è in esse. Si tratta, insomma, di barbari. Poi il tempo compie la sua opera. L'identità di ambiente, il ripetersi degli incroci, le necessità di una vita comune operano lentamente. L'agglomeramento di unità dissimili comincia a fondersi e a formare una razza, vale a dire un aggregato che possiede caratteri e sentimenti comuni, progressivamente consolidati dall'eredità. La folla é diventata un popolo, e questo popolo potrà uscire dalla barbarie.
Tuttavia esso non potrà uscirne completamente se non dopo lunghi conati, lotte ripetute senza tregua e innumerevoli ritorni, se non quando avrà conquistato un ideale. Sia questo il culto di Roma, la potenza di Atene, o il trionfo di Allah, esso basterà a dotare tutti gli individui della razza in via di formazione di una perfetta unità di sentimenti e di pensieri. Allora può nascere una civiltà nuova con le sue istituzioni, le sue credenze e le sue arti.
Trascinata dal suo sogno, la razza acquisirà successivamente tutto ciò che dà il fulgore, la forza e la grandezza. Senza dubbio, in certe ore, essa sarà ancora folla, ma dietro i caratteri mutevoli e vari delle folle, si troverà quel substrato solido, l'anima della razza, che limita rigorosamente le oscillazioni di un popolo e limita il caso. Ma, dopo aver esercitato la sua azione creatrice, il tempo comincia quell'opera di distruzione alla quale non sfuggono né le divinità, né gli uomini.
Pervenuta a un certo livello di potenza e di complessità, la civiltà cessa di ingrandire, e non appena non ingrandisce più, essa è condannata a declinare rapidamente. L'ora della vecchiaia ben presto suonerà. Quest'ora inevitabile è sempre segnata dall'attenuarsi dell'ideale che sosteneva l'anima della razza. Via via che questo ideale impallidisce, tutti gli edifici religiosi, politici e sociali, di cui esso era l'ispiratore, cominciano a rovinare. Col progressivo svanire di questo ideale, la razza perde ogni ora ciò che costituiva la sua coesione, la sua unità e la sua forza.
L'individuo può crescere in personalità e in intelligenza, ma nello stesso tempo anche l'egoismo collettivo della razza è sostituito da un eccessivo sviluppo dell'egoismo individuale accompagnato dalla scomparsa del carattere e dallo assottigliarsi delle attitudini all'azione. Ciò che formava un popolo, un'unità, un blocco, finisce per diventare un agglomeramento di individui senza coesione e che mantengono artificialmente ancora per qualche tempo le tradizioni e le istituzioni. Allora, divisi dai loro interessi e dalle loro aspirazioni, non sapendo più governarsi, gli uomini chiedono di essere diretti nei loro più piccoli atti, e lo Stato esercita la sua influenza assorbitrice.
Con la perdita definitiva dell'antico ideale, la razza finisce per perdere anche la sua anima. Essa non è più che un residuo di individui isolati e ridiventa quel che essa era al suo punto di partenza: una folla, la quale presenta tutti i caratteri transitori, senza consistenza e senza avvenire. La civiltà non ha più alcuna stabilità e cade alla mercé di tutti i casi. La plebe è regina e i barbari avanzano. La civiltà può sembrare ancor viva perché conserva la sua fisionomia esteriore creata da un lungo passato; ma in realtà è un edificio tarlato, che nessuna cosa può ormai sostenere e che sarà sommerso dal primo uragano. Passare dalla barbarie alla civiltà seguendo un ideale, poi declinare e morire non appena questo ideale ha perduto la sua forza, tale è il ciclo della vita di un popolo.

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